Crisi climatica e antropizzazione le principali cause
Quasi la metà delle specie migratorie del mondo è in declino e più di un quinto è a rischio estinzione. È quanto emerge da un nuovo rapporto delle Nazioni Unite pubblicato oggi, il primo dedicato agli animali migratori. Sul banco degli imputati sono la crisi climatica e l’effetto dell’antropizzazione sugli ecosistemi, lo sfruttamento dei territori e la cattura indiscriminata.
Miliardi di animali attraversano ogni anno deserti, pianure o oceani per riprodursi e nutrirsi. Dalle megattere alle farfalle monarca, uccelli, tartarughe marine, balene, squali e tanti altri animali sono minacciati dalla perdita di habitat, dalla caccia e dalla pesca illegali e dall'inquinamento.
Delle 1.189 specie monitorate in base a una convenzione delle Nazioni Unite del 1979, il 44% ha subito un calo numerico e ben il 22% potrebbe scomparire del tutto. Quadro drammatico per gli oceani, qui il 97% delle specie di pesci è a rischio estinzione.
Le cifre del documento intitolato 'State of the world’s migratory species’, si basano su valutazioni e dati forniti dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e dall'Indice del Pianeta Vivente, che raccoglie i numeri delle popolazioni di oltre 5.000 specie dal 1970 in poi.
La minaccia maggiore, si afferma nel rapporto, è rappresentata dalle attività umane che hanno un impatto sul 70% delle specie presenti nell'elenco delle Nazioni Unite. Una minaccia aggravata dagli effetti della crisi climatica con i cambiamenti di temperature che interrompono i tempi delle migrazioni, causano stress da calore e determinano eventi meteorologici sempre più distruttivi, come la siccità o gli incendi.
Gli autori dello studio esortano i governi a non distruggere gli habitat e interrompere i percorsi migratori nella realizzazione di infrastrutture come dighe, oleodotti o turbine eoliche. "Si tratta di specie che si spostano in tutto il mondo. Si spostano per nutrirsi e riprodursi e hanno anche bisogno di siti di sosta lungo il percorso", ha spiegato Kelly Malsch, prima firma del documento presentato in occasione di una conferenza delle Nazioni Unite sulla fauna selvatica a Samarcanda, in Uzbekistan. La difesa delle specie migratorie è per definizione un tema transnazionale che non può essere affrontato su scale nazionale dai singoli paesi. "Un solo paese non può salvare nessuna di queste specie", ha detto Susan Lieberman, vicepresidente per le politiche internazionali dell'associazione no-profit Wildlife Conservation Society.
Un esempio è il leopardo delle nevi della valle di Nagar in Pakistan, che vive e caccia in una vasta area nelle montagne dell'Asia settentrionale e centrale, attraverso i confini di ben dodici paesi, tra cui Cina, India, Russia e Mongolia. Secondo Colman O'Criodain, responsabile delle politiche per la fauna selvatica del WWF, Il cambiamento climatico è una delle minacce principali per animali come il leopardo.
Gli ambientalisti chiedono ai governi di onorare gli impegni assunti nel 2022 in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità tenutasi a Montreal che prevedono di destinare alla natura il 30% dei territori terrestri e marini del mondo entro il 2030.
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