Luchetta, Ota e D'Angelo per una memoria collettiva
Sul muro di un anonimo condominio a Mostar, due targhe ricordano i giornalisti italiani Marco Luchetta, Sasha Ota e Dario D'Angelo. Il 28 gennaio 1994, mentre raccontavano l'assedio di Mostar est, furono colpiti da una granata lanciata dai croati. Nonostante il pericolo, i tre colleghi avevano deciso di entrare per documentare il dramma dei rifugiati. Trovarono rifugio in un condominio, dove scoprirono decine di bambini. Uno di loro, Zlatko, fu salvato dai corpi dei giornalisti. Oggi, a distanza di trent'anni, la comunità di Mostar è ancora grata per il loro sacrificio. Le due targhe, piene di affetto, sono un segno di riconoscenza. Ogni tanto, i cittadini si fermano per pregare o lasciare fiori e messaggi. La prima targa, più consumata dal tempo, fu sistemata dai rifugiati poco dopo la tragedia. La seconda, più istituzionale, sarà visitata dalle autorità italiane il prossimo 30 gennaio. Grazie al sacrificio dei giornalisti, ebbe origine un percorso di recupero collettivo della memoria. Si è fatto luce sui "bambini senza nome", i figli degli stupri etnici. Oggi, dopo trent'anni, hanno finalmente un riconoscimento giuridico e legale, grazie a una legge approvata dal parlamento di Sarajevo. Questo fenomeno, molto più diffuso e drammatico di quanto si pensasse, ha avuto un impatto significativo sulla società bosniaca. Ajna Jusic, nata da uno stupro etnico, è impegnata nella battaglia per i diritti dei "bambini senza nome". Grazie al lavoro prezioso di giornalisti come Luchetta, Ota e D'Angelo, si è cambiata la narrativa e si è dato un volto a queste vittime innocenti.
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