Il presidente indiano ha fortemente voluto il nuovo tempio religioso a 700 km da Nuova Delhi, "simbolo della coscienza nazionale". La sfarzosa cerimonia segna l'inizio della sua campagna elettorale in vista delle politiche di fine anno
Inizia una nuova era per l'India: parola di Narendra Modi che oggi ad Ayodhya, città dell'Uttar Pradesh, nell'India settentrionale, ha inaugurato un sontuoso tempio indù dedicato al dio Rama. Un simbolo della coscienza nazionale, ha detto il primo ministro durante la cerimonia d'inaugurazione dell'edificio di tre piani. Un momento sacro e giusto in cui, dopo anni di sacrifici si gettano le fondamenta per l'India dei prossimi mille anni. Segno della politica nazionalista del premier, il tempio induista - soprannominato il “Vaticano Indù” - diventa subito un caso politico segnando, peraltro, l'inizio non ufficiale della sua campagna elettorale in vista delle elezioni generali previste entro la fine dell'anno. Il suo partito Bharatiya Janata Party (BJP) punta a un terzo mandato consecutivo. Secondo la religione indù, Rama rappresenta la fede e la legge a fondamento dell'India così come è scritto nella prima pagina della Costituzione indiana. Per questo il 22 gennaio 2024 non è semplicemente una data nel calendario, ma annuncia l'avvento di una nuova era, ha detto Modi, parlando davanti a politici, uomini d'affari, celebrità dello sport e del cinema, insieme a milioni di fedeli. Realizzato intorno all'area il Ram Path, ovvero 13 km di un immenso cammino dei pellegrini fattosi largo dopo la distruzione di vaste aree dell'area che hanno creato non poche polemiche tra i cittadini. Per far spazio al tempio sono stati rasi al suolo negozi e case, sfollate 1600 persone. Costruito un nuovo aeroporto, un'enorme stazione ferroviaria e un parcheggio. E' cosi' che Ayodhya, tranquilla cittadina di pellegrini sulle rive del Saryu, un affluente del Gange, è stata trasformata in una "città di livello mondiale" dove potranno essere accolti pellegrini e turisti. Ma oltre a tutto questo il nuovo tempio è al centro di un territorio “religioso” conteso. Costruito sulle rovine della moschea Babri di epoca Moghul (XVI secolo), l'edificio a circa 700 chilometri da Nuova Delhi, prendeva il nome dall'Imperatore Moghul Babar. Nel 1992 fu demolito da una folla inferocita di 150mila fondamentalisti indù, provocando più di 2000 morti, la maggior parte dei quali musulmani. La demolizione scatenò le più gravi rivolte religiose dai tempi dell'indipendenza, scuotendo le fondamenta dell'ordine politico ufficialmente laico. Nel suo discorso inaugurale, il leader indiano ha ringraziato la Corte Suprema per aver fatto giustizia nella battaglia legale conclusasi nel 2009 con l'assegnazione del terreno conteso dai musulmani a cui è stato, invece, concesso un terreno fuori città, sempre nell'Uttar Pradesh, per costruire una moschea. Secondo un censimento del 2001, della stragrande maggioranza della popolazione indiana (oltre il 93%) che segue una religione, l'80,5% è induista (circa 827 milioni di persone), il 13,4% è islamica e solo il 2,3% è cristiana. Secondo i partiti d'opposizione, con in testa l'Indian National Congress, l'evento non si addice all'idea di un'India laica e hanno in massa boicottato l'invito. Per Modi, l'apertura del tempio è un momento fondamentale in una campagna decennale volta ad allineare il governo del Paese con la fede maggioritaria. Mentre il premier Modi officia la consacrazione del tempio di Rama, come fosse un sacerdote, a me non viene concesso di visitare un tempio in Assam, denuncia Rahul Gandhi, il leader del partito del Congresso, che proprio in vista delle elezioni ha lanciato la sua "marcia dell'unità e della giustizia" (Bharat Jodo Nyay Yatra) lungo tutto il Paese, ed è stato fermato all'ingresso del tempio Sri Sri Sankar Dev Satra, a Nagaon davanti a centinaia di suoi sostenitori. La polizia ha giustificato lo stop con "ragioni di ordine pubblico". Adesso nel nostro paese è il governo che decide chi può andare a pregare, e quando, ha denunciato Gandhi.
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